L’evoluzione delle macchine memetiche

Translated from ‘The Evolution of Meme Machines’  Presented at the International Congress on Ontopsychology and Memetics,
Milan
May 18-21 2002

This translation is provided by the International Ontopsychology Association and was published in the Italian edition of their magazine.
See also my Note on Ontopsychology.

di Susan Blackmore


La scienza della Memetica ci pone di fronte ad un serio problema. Il concetto di “meme” prende origine dalla biologia evolutiva e dalla “teoria delle copie” e, nell’ambito di questo contesto, esso è correttamente compreso, anche se fortemente dibattuto. All’infuori di tale ambiente, al contrario, come su Internet e nell’accezione comune, la parola “meme” è usata in modo erroneo. ‘Meme’ è spesso confuso con “idea” o “concetto” o, ancora, usato come qualcosa d’oscillante tra l’“etereo” o il “non-materiale”, separato dai comportamenti e dagli oggetti.

Nessuno può impedire alla gente comune di usare il termine “meme” con altri significati; in tal modo però si corre il rischio di perdere il reale potere dell’idea originaria, generando molta confusione. Spero, quindi, possa essere utile puntualizzare sia le origini della “memetica”, sia il concetto basilare di “meme”, da intendersi come “replicante” nell’ambito di un processo evolutivo. Nella presente relazione userò questo concetto per esplorare l’evoluzione delle “macchine umane” e di altre più nuove “macchine del meme” che si sono evolute da noi esseri umani.

La storia comincia nel 1976 con la pubblicazione di un libro del biologo evolutivo, Richard Dawkins, “Il gene egoista”.

Questo libro ha reso popolare la sempre più diffusa opinione tra i biologi secondo cui la selezione naturale si attua non nell’interesse delle specie coinvolte né dei gruppi o, ancora, degli individui ma, semplicemente, nell’interesse dei geni. Anche se la selezione si attua prevalentemente a livello del singolo individuo, è l’informazione posseduta dai geni ad essere copiata. Questi ultimi sono i replicanti, e la competizione tra loro guida l’evoluzione del design biologico.

Nello spiegare questo, Dawkins voleva enfatizzare il principio del “Darwinismo universale”. L’intuizione fondamentale di Darwin fu brillante: un’idea di talmente semplice da essere considerata addirittura come la migliore idea che qualcuno abbia mai concepito. Cioè: se le cose viventi variano con modalità tali da condizionare la loro possibilità di sopravvivere bene, e se producono più prole di quella che può sopravvivere, e se i pochi sopravvissuti passano le loro caratteristiche alle successive generazioni, allora le caratteristiche che li hanno aiutati a sopravvivere saranno più comuni nelle successive generazioni. In sostanza, i membri delle generazioni successive si saranno in qualche modo evoluti rispetto alla generazione precedente, e saranno meglio adattati all’ambiente in cui la selezione è avvenuta. Come verificato da Darwin, questo è un inevitabile processo che semplicemente deve accadere, se si verificano certe condizioni.

Dennet lo ha definito “algoritmo evolutivo”: se esistono variazione, eredità e selezione, si dovrà poi ottenere evoluzione. Si dovrà ottenere un “design fuori del caos, senza l’aiuto della Mente” (Dennet,1995, pag.50).

Ci sono due elementi importanti da notare in questo processo. Primo e semplice, esso deve accadere, se esistono le tre variabili sopra citate. Non si tratta di teorie incomprensibili o magiche. Una volta che si capiscono gli effetti di una variazione ottenuta copiando in modo selettivo, il risultato è ovvio e meravigliosamente semplice. Secondo: il processo non richiede un “designer” o piani prestabiliti. Questo processo non si dirige inesorabilmente verso qualcosa in particolare, perché tutti i cambiamenti sono il prodotto del caso e della necessità. Accade perché il processo di selezione non è il frutto del progetto di un pianificatore, uno schema o un’idea, ma è regolato dal vento e dal tempo, dal bisogno di cibo o ossigeno o dall’appetito dei predatori. La biologia non ha bisogno di Dio. L’evoluzione non ha un progetto. Questo è ciò che Dennet chiama “ la pericolosa idea di Darwin”. Si dice spesso che niente in biologia ha senso se non analizzato dal punto di vista di tale teoria evoluzionistica.

Noi tutti conosciamo le modalità di tale processo evolutivo per i geni ma, nell’esplorare la nozione di “Darwinismo universale”, Dawkins si chiese se ci fossero altri replicanti nel nostro pianeta. Da quel momento in poi molti altri esempi sono stati scoperti, incluso il processo neurale ed il sistema immunitario, ma Dawkins ha scoperto che di fronte a noi, sebbene si stia muovendo ancora goffamente nel suo primordiale brodo di cultura, c’è un altro replicante, un’unità di imitazione. Dawkins chiamò questa unità meme, prendendo dal greco antico il concetto di “ciò che è imitato” (e il suono in inglese fa rima con “cream” o “seem”). Come esempi egli suggerì “melodie, idee, motti pubblicitari, vestiti alla moda, modi di fare gli utensili o di costruire archi”. (Dawkins, 1976, p. 192).

Dal 1998, il termine è entrato nel linguaggio inglese ed apparso nell’Oxford English Dictionary, dove è definito così: Meme (mi:m), n. Biol., (abbreviazione di mimeme… ciò che è imitato, a imitazione di GENE n), “un elemento di una cultura che può considerarsi trasmesso da mezzi non genetici, in particolare attraverso l’imitazione”. Questo significa che qualsiasi cosa sia copiata da una persona ad un’altra è un meme. Ogni cosa appresa come copia da qualcun altro è un meme; ogni parola nella tua lingua, ogni modo di dire. Ogni storia ascoltata, ogni canzone conosciuta è un meme. Il fatto che si guidi a sinistra o a destra, che si beva Chianti, che si pensi che i pomodori seccati al sole non siano più buoni, che si indossino jeans o t-shirt per lavorare sono memi. Lo stile di una casa e di una bicicletta, il disegno di una strada nella propria città e il colore dei bus sono tutti memi.

Questi memi non hanno niente d’etereo. Essi sono i veri comportamenti e i veri artefatti che riempiono le nostre vite. Sono tutto ciò che è copiato.

Possiamo verificare che la maggior parte della cultura è fatta di memi. A questo punto è facile pensare a tutte le esperienze in termini di memi e questo certamente non aiuta. Abbiamo invece bisogno di approdare ad una definizione. Il punto principale del concetto di meme è che esso è un’informazione copiata da una persona ad un’altra. Inoltre molto di ciò che accade nella mente umana non ha niente a che fare con i memi. Primo, la percezione e la memoria visiva non necessariamente coinvolgono memi. Si può guardare una bella scena o gustare un cibo delizioso e ricordarli nei dettagli, senza che ci siano memi coinvolti (a meno che parole non vengano associate a questa esperienza).

Secondo, non tutti gli insegnamenti coinvolgono memi. Quello che si impara da se stessi attraverso le classiche condizioni (associazioni), o attraverso condizioni operative (tentativi ed errori), non è necessariamente memetico. Molte altre creature sono capaci di questi processi e d’insegnamenti estensivi, ma essi non hanno memi, perché non possono trasferire ciò che imparano a qualcun altro. Ci può essere una limitata capacità d’imitazione negli uccelli, nei delfini e probabilmente in alcuni primati. Gli scimpanzé e gli orangutanghi possono essere capaci di forme molto limitate di imitazione, ma solo gli umani sono capaci di un certo tipo di imitazione diffusa e generale che rende possibile un secondo “replicante” e così il determinarsi dell’evoluzione memetica.

Dovremmo ricordarci che questo nuovo tipo di evoluzione procede non nell’interesse dei geni né in quello degli individui che portano i memi, ma nell’esclusivo interesse dei memi stessi. E’ per questo motivo che sia i memi che i geni sono descritti come “egoisti”. I replicanti non sono egoisti nel senso che hanno desideri o piani come abbiamo noi umani – non potrebbero! Essi sono solo “bit” di informazione, sia se intesi come codificati nel DNA, sia se considerati come copiati attraverso un processo di imitazione. Sono egoisti nel senso che saranno copiati se potranno essere copiati. Nel caso dei memi, essi ci useranno perché possano essere copiati senza curarsi degli effetti su di noi, sui nostri geni, sul nostro pianeta.

Solo ora possiamo iniziare a parlare di “punto di vista del meme” e in quest’ottica la domanda principale è: perché alcuni memi sopravvivono e sono copiati in molti cervelli o molti manufatti, mentre molti altri no? Il principio generale potrebbe essere così concepito: alcuni memi sono riusciti a copiare perché sono buoni, utili, veri o belli, mentre altri sono riusciti anche se sono falsi o inutili. Dal punto di vista dei memi, ciò è irrilevante. Se un meme può sopravvivere ed essere replicato, così sarà. Generalmente, noi umani cerchiamo di selezionare le idee vere dalle false, le buone dalle cattive; dopo tutto, la nostra biologia ci ha organizzati per fare giusto questo, ma lo facciamo in modo imperfetto, e lasciamo ogni tipo di opportunità per altri memi da copiare, usandoci come loro “macchine fotocopiatrice”.

Possiamo considerare molti esempi di memi “egoista” che sopravvivono bene pur essendo inutili, falsi o addirittura dannosi. Alla fine, semplicemente, c’è un’ininterrotta serie di frasi virali che si autoriproducono o di semplici gruppi di memi. Un gruppo di memi che lavorano insieme è chiamato “complesso coadattato di memi” o “memeplesso”. Un esempio è dato dal comune tipo di virus che viaggia tramite “email”, che ci spinge a trasmettere una comunicazione urgente a tutti i nostri amici. Questi messaggi spesso contengono un avviso inesistente, per esempio affermano che c’è un virus che distruggerà ogni cosa che sia contenuta nell’ hard-disk. Se si crede a questi messaggi e si trasmettono, questo piccolo memeplesso può essere copiato molte altre volte: il virus è il messaggio. Non solo esistono questi tipi di virus che intasano l’intero sistema, ma quando le persone capiscono l’errore, mandano nuove comunicazioni dicendo agli amici precedentemente contattati di non crederci, ostruendo nuovamente il sistema. Alcuni di questi virus sono durati per più di cinque anni.

La struttura base di tali virus è un’istruzione del tipo “copiami” appoggiandosi a minacce e promesse. Queste stesse strutture possono essere viste anche in altri memeplessi più importanti. Per esempio, Dawkins usa il Cattolicesimo come esempio di gruppo di memi che ottiene successo da secoli, pur essendo falso. Durante la Messa è fatto credere che il vino si trasformi letteralmente in sangue di Cristo. Chiaramente questo è un “nonsense”, in quanto il vino continua ancora ad avere lo stesso odore e lo stesso gusto che aveva originariamente, e si può dimostrare che non è diventato sangue di Cristo attraverso un test del DNA.

Ciò nonostante, ancora oggi, milioni di persone ci credono, così come credono all’inferno e al paradiso, in un Dio invisibile e onnipotente, alla nascita tramite una vergine e alla santissima Trinità.

Perché? Parte della risposta è che questi memeplessi hanno la stessa struttura di semplici memi virali. La religione, però usa anche altri espedienti memetici. L’idea di Dio ci piace perché noi desideriamo capire le nostre origini e i nostri scopi e avere un grande essere che ci protegge. Certamente se Dio potesse essere visto, si potrebbe scoprire che non esiste, per cui l’invisibilità è una buona tattica. Dio può vedere tutti i nostri peccati e può punirci, ma per avere prova di questo si deve aspettare la morte. E nel caso in cui si mostri un’inclinazione nel voler verificare le cose, bisognerà ricordarsi che la fede è buona e il porsi domande è sbagliato (l’opposto di ciò che accade nella scienza). Inoltre, i memi esortano a sposare un Cattolico e portare molti bambini alla fede, o convertire altre persone. Donando il proprio denaro ai poveri ci si assicura un posto in paradiso, così come contribuendo a costruire e mantenere grandi chiese, cattedrali e monumenti che ispireranno i conduttori di ulteriori memi. In tutti questi modi, denaro e sforzi contribuiscono alla diffusione dei memi. I memi fanno sì che noi lavoriamo per la loro propagazione.

Memi come la religione, i culti, le manie e le inefficaci terapie, sono stati descritti come virus della mente perché infettano le persone e richiedono le loro risorse pur essendo falsi. Alcuni autori hanno enfatizzato questi tipi di memi e anche sottinteso che tutti i memi sono virali. Al contrario, i memi possono variare all’interno di un’ampia gamma. Da un lato ci sono i virus, le religioni, i culti e i falsi credi. Dall’altro ci sono più preziosi strumenti che ci consentono di vivere, così come la lingua, la tecnologia e le teorie scientifiche. Senza i memi, noi non potremmo parlare, scrivere canzoni, o fare molte delle cose che si associano all’essere umano. I memi sono gli strumenti con cui noi pensiamo, e la nostra mente è un insieme di memi.

Bisogna notare che i memeplessi di successo non sono stati appositamente progettati da qualcuno, ma creati dal processo della selezione memetica. Presumibilmente, ci sono sempre stati innumerevoli memi-competitivi – come religioni, teorie politiche, modi di curare il cancro, mode o stili musicali. Ma il punto sull’evoluzione memetica è che quelli che oggi noi vediamo intorno a noi sono quelli che sopravvivono nella competizione ad essere copiati. Essi hanno avuto ciò che è necessario per essere un buon “replicante”.

La teoria della memetica ci fornisce un modo completamente nuovo di guardare il mondo generale, ed in particolare l’evoluzione umana. Per esempio, ci fornisce nuove spiegazioni sia per l’evoluzione dell’enorme cervello umano, sia per quella del linguaggio – entrambi difficilmente spiegabili attraverso un’ordinaria ipotesi evoluzionistica.

La misura del cervello umano è un bel mistero. Costoso da costruire e mantenere, e pericoloso da far nascere, è grande fino alla massima possibilità che i geni hanno di costituirlo (con sicurezza), circa tre volte più grande, relativamente al peso del corpo, rispetto ai cervelli di altre grandi scimmie. Perché? Le teorie tradizionali si fermano a considerare i vantaggi genetici (che ci possono essere stati), quali quelli di migliorare la qualità della caccia o di procacciare il cibo o l’abilità nel sostenere gruppi umani più larghi, con caratteristiche sociali complesse. La memetica fornisce una spiegazione completamente differente.

Il punto di svolta fu quando il primo ominide iniziò ad imitare, forse due milioni e mezzo di anni fa, prima dell’avvento della pietra e dell’espansione del cervello. La vera imitazione si attua copiando un nuovo comportamento o abilità da un altro animale. E’ difficile da fare, richiede molto potere cerebrale ed è piuttosto raro nel regno animale. Ma una volta iniziata, possiamo immaginare i nostri primi progenitori imitare nuove capacità utili nella caccia, nel trasporto e nel preparare cibi, accendere il fuoco e fare vestiti.

Con la diffusione di questi primi memi, la capacità di acquisizione divenne importante. Così gli umani migliori nell’imitazione, crebbero robusti, e i geni che diedero loro tale abilità, e i più grandi cervelli che essa richiedeva, si diffusero nel complesso dei geni. Ognuno divenne un miglior imitatore, incrementando la pressione per aumentare ulteriormente la misura del cervello.

Una volta che si iniziò ad imitare, i memi furono lasciati liberi e poterono cominciare a competere tra loro per essere copiati. A fianco delle abilità utili, come accendere il fuoco, si diffusero anche altri memi meno utili come quello di decorare il corpo, e alcuni del tutto immotivati, come ad esempio l’energetica ma inutile danza della pioggia. Dal punto di vista dei geni, gli umani dovrebbero essere esigenti su cosa imitare, con l’eliminazione di geni che consentono un’imitazione indiscriminata. Come possono, però, i geni esser certi che i loro copino solamente i memi utili, quando i memi continuano a cambiare? Un’utile strategia potrebbe essere quella di copiare i migliori imitatori, perché questi sono più idonei a possedere versioni aggiornate di memi utili. Questo dà uno status ulteriore ai migliori imitatori, migliora le loro possibilità di sopravvivenza e così aiuta la diffusione dei geni che li rende buoni imitatori – geni per imitare le danze della pioggia come pure per imitare abilità utili. Se quest’evoluzione memetica corre troppo velocemente, i geni rispondono con miglioramenti nell’imitazione selettiva, ma le loro risposte saranno in ogni modo sempre in ritardo rispetto alla competizione memetica. Questo è il processo che io ho definito “memetic drive”: i memi competono tra loro stessi e si evolvono in una direzione, i geni poi rispondono migliorando l’imitazione selettiva, e questo comporta un incremento del potere e della misura cerebrale.

Alla stretta finale, si dovrebbe pagare per accoppiarsi con i migliori imitatori, perché nel complesso, essi hanno le qualità migliori perché sia consentita la sopravvivenza. Ciò significa che una selezione sessuale, guidata dai memi, potrebbe aver giocato un ruolo nel creare i nostri grandi cervelli. Scegliendo il migliore imitatore per un accoppiamento, le donne aiutano a propagare i geni necessari a copiare i rituali religiosi, i vestiti, le canzoni, le danze o i modi di pitturare, in modo dipendente dalla direzione che l’evoluzione memetica ha preso. Da questo processo, il lascito dell’evoluzione memetica passata s’incastra nelle strutture dei nostri cervelli e noi diventiamo creature musicali, artisti o religiosi. I nostri grandi cervelli sono dispositivi d’imitazioni selettive costruiti da e per i memi, così come per i geni.

L’origine del linguaggio può essere spiegata con lo stesso meccanismo. Le domande circa le origini e la funzione del linguaggio sono state così controverse che, fin dal 1866 la Società di Linguistica di Parigi ha bandito ogni ulteriore speculazione sul problema, e anche ora non c’è una spiegazione accettata in via generale.

Le teorie più popolari ricorrono a spiegazioni circa un probabile vantaggio genetico. Diversamente, la teoria del “memetic drive” è basata sul vantaggio dei memi.

Per capire come ciò lavora, dobbiamo chiederci che tipo di memi sarebbero meglio sopravvissuti e diffusi nel gruppo emergente dei memi dei nostri primi progenitori. La generale risposta per ogni replicante riguarda qui memi con alta fedeltà, fecondità e longevità – in altre parole, quelli che fanno molte, accurate e a “lungo-viventi” copie di sé.

I suoni possono essere copiati da più persone con più immediatezza dei gesti o d’altre azioni fisiche. Alcuni suoni sarebbero copiati più accuratamente e più frequentemente che altri, secondo il loro valore all’interno della comunicazione o le limitazioni dell’udito, delle voci o delle memorie delle persone. Gli stessi suoni competerebbero per avere ruoli all’interno di segnalazioni, e in questa competizione i migliori replicanti prospererebbero. I flussi dei suoni spezzati in parole separate sarebbero copiati più accuratamente perché ciò consentirebbe una più efficace replica. L’uso di un ordine di parole differenti in diverse circostanze aprirebbe nuove nicchie per più memi. In questa competizione, i suoni replicabili con la più alta qualità sommergerebbero quelli più poveri.

Ora consideriamo l’effetto sui geni. I migliori imitatori acquisiscono le migliori qualità di sopravvivenza, lo status più alto e i migliori alleati. Inoltre i geni con la capacità di imitare i suoni vincenti, crescono nel pool degli stessi geni. Suggerisco che, attraverso questo processo, i suoni di maggior successo gradualmente abbiano guidato i geni a creare un cervello che fosse specializzato a copiarli. Il risultato è stato la capacità umana del linguaggio, disegnata dalla competizione memetica e dalla co-evoluzione dei geni e dei memi.

L’intero processo del “memetic driving” è un esempio della co-evoluzione dei replicanti insieme alle loro macchine da copia. Così come il DNA deve essersi, a suo tempo, evoluto insieme alle sue cellulari macchine di replica, così i memi si sono co-evoluti con i cervelli umani che li hanno copiati. Ma l’imitazione umana può essere inaccurata. Diversamente dalle imitazioni nelle altre specie, l’imitazione umana è chiaramente abbastanza buona da sostenere l’evoluzione memetica, ma ci sono molte possibilità di miglioramento. Così potremmo aspettarci che nel corso del tempo, appariranno macchine da copia sempre migliori, e così è stato. Dalla pena e la carta, alla stampa, dai telefoni ai fax, dai computer ad Internet, le macchine da copia si sono migliorate, e molti memi si stanno diffondendo più velocemente.

Facciamo un semplice esempio: l’invenzione del fax. Quando i fax divennero disponibili, le persone compresero che avrebbero potuto mandare e ricevere messaggi ed informazioni più velocemente, così comprarono un fax. Questo li incoraggiò a mandare più messaggi tramite il fax ed incoraggiò i loro amici e colleghi a comprare le macchine. I memi mandati, e le macchine che li copiavano aumentarono insieme, poiché i fax si diffusero più rapidamente delle lettere l’intero processo dello scambio memetico si velocizzò. Lo stesso processo accadde pochi anni dopo con Internet. Una volta che e-mail furono possibili, molte persone vollero utilizzarle e mandarono sempre più messaggi. L’infosfera si espanse con rapidità e si sta ancora espandendo, forse incrementandosi ulteriormente.

Mettendoci nella nostra ottica, potremmo vedere Internet come una meravigliosa tecnologia creata da noi, per il nostro piacere e per vivere meglio le nostre vite. Mettendoci dal punto di vista dei memi, noi umani siamo le primordiali macchine memetiche che hanno aiutato a creare sempre migliori macchine memetiche, a beneficio dei memi stessi. Quando si vede un ufficio pieno di gente schiavizzata dal flusso di memi con cui essi hanno a che fare – lavorando tutto il giorno, affrettandosi ad imbattersi in nuove informazioni, etc. – si potrebbe ragionevolmente chiedersi per chi sia tutto questo. Secondo la memetica, questo non è altro che un vasto processo evolutivo che accade a beneficio della replica dei memi stessi: l’esplosione d’informazione odierna è giusto quello che dovremmo aspettarci.

Infine, la Memetica ha implicazioni sulla creatività umana e sulla nostra stessa natura. Uno dei grandi vantaggi della memetica è che essa tratta la creatività umana come una nuova forma di creazione dall’evoluzione. Cioè, così come il mondo biologico fu disegnato dalla competizione tra geni, il mondo culturale è disegnato dalla competizione tra memi. In entrambi i casi non c’è designer, né piani, né progetti nella mente di un creatore. Non c’è un dio che ci ha disegnato, così come non c’è un “io” che ha disegnato il mio giardino, ha scritto i miei libri o ha creato i miei dipinti. Può sembrare così, ma è un’illusione.

Dal punto di vista memetico i piani e i disegni derivano da memi provenienti dalla “ricombinazione” di quelli vecchi. La creatività è questo: selezione creativa, il “riuso” e la ricombinazione di cose che sono venute prima.

Secondo Dennett, una persona è “ una particolare forma di scimmia infestata con i memi”. Noi tutti raccogliamo innumerevoli memi dal principio alla fine della nostra vita e questi (insieme ai nostri geni e l’ambiente in cui viviamo) ci rendono gli individui unici che in definitiva siamo. Ma non c’è un reale “sé” dentro che vive la nostra vita? Non c’è un reale “me” che prende le mie decisioni e possiede i miei credi? Non c’è un reale “sé” che ha coscienza e libero arbitrio? Direi di no. Il “sè” è giusto una parola intorno alla quale i memi possono ruotare. Tutti i memi beneficiano del fatto che tutti gli umani hanno l’idea falsa del “se stesso”. Per cui questo concetto è proprio un complicato memeplesso, creato da e per gli stessi memeplessi per la loro proiezione e replica.

Come possiamo allora vivere la nostra vita se siamo solo dei “memeplessi”? Alcuni filosofi hanno sostenuto che il solo risultato potrebbe essere o un inutile fatalismo o una terribile depressione. In realtà è possibile tralasciare l’idea di un sé interiore e vivere semplicemente la vita come un memeplesso. Abbastanza stranamente, non sembra rendere le persone peggiori o più misere, al contrario sembra essere una sorta di liberazione. Dawkins conclude il suo libro “The selfish gene” con le parole “noi soli possiamo ribellarci alla tirannia dei replicanti egoisti”. Mi piacerebbe invece sostenere che noi siamo “macchine memetiche”, create solo da e per gli stessi replicanti egoisti: la nostra unica vera libertà proviene dal non ribellarsi alla tirannia dei replicanti egoisti, ma dal realizzare che non c’è nessuno a cui ribellarsi.

Bibliografia

Aunger, R.A. (Ed) (2000) Darwinizing Culture: The Status of Memetics as a Science, Oxford University Press

Blackmore,S.J. (1999) The Meme Machine, Oxford, Oxford University Press.

Dawkins,R. (1976) The Selfish Gene Oxford, Oxford University Press (new edition with additional material, 1989)

Dennett,D. (1995) Darwin’s Dangerous Idea, London, Penguin